Il Fondo Tito Pasqui nella Biblioteca Comunale di Forlì

Tito Pasqui (Forlì, 1846 – 1925) era nato in una famiglia della borghesia forlivese   legata alla terra, che aveva conseguito una condizione di discreto benessere applicando all’agricoltura le moderne conquiste della nuova scienza agraria. Suo padre Gaetano era un agronomo autodidatta che aveva fatto fortuna con una piantagione di luppolo, una fabbrica di birra e grazie alla vendita di strumenti agrari.

Il giovane Tito, laureatosi in Ingeneria civile ed Agronomia nel 1866, dopo aver seguito Garibaldi in Trentino e a Mentana, nel 1869 si trasferì a Torino per frequentare la Scuola di perfezionamento per Ingegneri. Era questa la prima e più importante scuola nata dopo l’approvazione della legge Casati del 13 novembre 1859 che istituiva un corso di studi adatto a formare figure professionali in grado di soddisfare la crescente richiesta di tecnici che potessero mettere in pratica il sapere scientifico moderno per poter risolvere le problematiche in ambito di infrastrutture, idraulica e costruzioni, messe in campo dal nuovo Regno d’Italia appena costituitosi. 

Tutta la vita di Pasqui fu quindi dedicata, con slancio e positivistico entusiasmo, allo studio e all’applicazione delle innovazioni tecnologiche che si stavano affermando in agricoltura in paesi industrializzati come la Germania, la Francia e  l’Inghilterra, in cui si recò in più occasioni. Vinse numerosi concorsi che lo portarono ad occupare ruoli di prestigio sia nell’ambito dell’insegnamento sia all’interno del Ministero dell’Agricoltura, fino a rappresentare il Governo italiano all’Esposizione Agraria Universale di Vienna del 1873, poi a quelle di Parigi del 1878, del 1899 e del 1900 e alle Esposizioni di Milano del 1881, del 1894 e del 1906 e di Torino del 1884 e del 1911. 

In un articolo dedicato a Tito Pasqui apparso su «La Riviera Romagnola» del 13 aprile 1922, si legge: “Ha 76 anni ed è ancora pieno di attività ed energia. Lo vediamo interessarsi con fervoroso amore dei problemi agrari dando sempre illuminato consiglio a chiunque si avvicina a lui. E’ un assiduo frequentatore della nostra Biblioteca comunale dove passa ore e ore a studiare trattati, a consultare libri e riviste, a scrivere, a leggere come quando studente alla R. Università di Bologna, si laureava a pieni voti in Ingegneria Civile”. 

E proprio alla Biblioteca comunale Pasqui donò il suo ricchissimo patrimonio librario, oggi afferente all’Unità Fondi Antichi, conservato all’interno di uno scaffale costituito di 640 titoli e di 62 grosse scatole contenenti migliaia di ricordi personali, lettere, materiale minore e opuscoli di argomenti che spaziano dalla letteratura classica e contemporanea alla medicina, dalla chimica alla fisica, all’antropologia, dalla scienza delle bonifiche e delle costruzioni all’allevamento, all’agricoltura con particolare attenzione all’introduzione di innovazioni meccaniche e di nuove colture. 

Questo copioso materiale giunse in Biblioteca per volontà dell’illustre forlivese poco dopo la sua morte, avvenuta il 7 luglio 1925, come attestano i documenti con cui il direttore Benedetto Pergoli, il 14 agosto 1925, riceveva da Ottavia, una delle tre sorelle di Pasqui,  la donazione ed allegava un primo elenco da lui redatto l’11 agosto consistente di 280 voci.

Altri volumi e opuscoli giunsero in dono alla biblioteca nel 1959 dalla sig.ra Vienna Benzoni vedova di Domenico Pasqui, appartenente ad altro ramo della famiglia. 

All’interno delle prime scatole sono raccolti numerosi opuscoli relativi all’attività politica e amministrativa di Pasqui che  a Forlì rivestì, in diversi periodi della sua vita, le cariche di consigliere comunale, assessore, consigliere provinciale, presidente della Società provinciale, segretario del Comizio agrario, fino al momento in cui venne eletto Deputato per il collegio di Forlì, il 27 marzo 1898, militando nelle file dei democratici costituzionali (liberali). 

I materiali che documentano l’attività di amministratore pubblico di Tito Pasqui sono regolamenti d’ornato, disposizioni di polizia urbana e di igiene pubblica, censimenti del bestiame, vari bollettini del Ministero dell’Agricoltura, pubblicazioni dedicate al rimboschimento e all’attività delle Stazioni Sperimentali agrarie, alla difesa del paesaggio e dei monumenti pubblici, materiali che dimostrano come il forlivese fosse perfettamente aggiornato sul dibattito che, in età giolittiana, aveva coinvolto i romagnoli Corrado Ricci, dal 1897 Sovrintendente dei Monumenti di Ravenna e dal 1906 Direttore Generale per le antichità e le Belle Arti, Luigi Rava, che nel 1905 presentò alla Camera quell’autentico incunabolo della legislazione paesistica che è la legge per la tutela della Pineta di Ravenna e che nel 1909, in qualità di Ministro della Pubblica Istruzione, preparò il disegno di legge Per le Antichità e le Belle Arti, e Giovanni Codronchi, presidente della Commissione Ministeriale nominata nel 1906 per redigere una proposta di legge, sempre sulle antichità e belle arti, che poi andrà a costituire la base della successiva riflessione del legislatore e che porterà alla legge per la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali soltanto nel 1922

Altre pubblicazioni documentano l’attenzione di Pasqui per le bonifiche, realizzate in particolare nell’ultimo quarto del XIX secolo, anche grazie all’incentivo conseguente alla legge del 25 luglio 1882 che porta il nome di un altro romagnolo, Alfredo Baccarini, e numerosi sono gli opuscoli e le piante topografiche relative alle bonifiche ferraresi del 1898 e a quelle del 1912, alla bonifica della destra del Reno, della Bassa romagnola e della pianura bolognese del 1903 e del 1904; altri opuscoli sono dedicati al valore industriale dell’acqua e alla costruzione di pozzi per l’estrazione per l’irrigazione e per la dotazione dell’acqua potabile alle città (a Forlì l’acqua potabile arrivò nel 1905 con la costruzione, nei pressi della Rocca di Caterina Sfoza in uno dei punti più elevati della città,  del “cisternone” alto 18 metri e con la capienza di 500 metri cubi d’acqua).

Fra i materiali giunti in Biblioteca dalla raccolta privata di Pasqui è ben evidente la sua attenzione per ogni elemento del progresso tecnico e in particolare per gli interventi sul territorio che, all’alba del nuovo secolo, si proponevano di migliorare le condizioni igieniche e le condizioni di vita e di lavoro di un paese in forte trasformazione dal punto di vista economico e sociale, che tentava di adeguarsi faticosamente al resto d’Europa e di uscire da una situazione di arretratezza e di isolamento. Questo aspetto è ben documentato da molte pubblicazioni relative alla costruzione di infrastrutture sul territorio, come le pubblicazioni dedicate al progetto della linea ferrata Forlì-Arezzo (1876), al tramway a vapore Forlì – Ronco – Meldola (1879) e alle grandi opere dei trafori del Moncenisio (1868), del San Gottardo (1882) e del Sempione (1905), per la creazione delle strade ferrate che collegarono l’Italia al resto d’Europa.

La sua attività di conferenziere, di studioso e di pubblicista è documentata nel Fondo Pasqui da alcuni saggi manoscritti come quello esposto in mostra sugli insetti ampelofagi e altre pubblicazioni che portano la sua firma, Le macchine al concorso agrario di Ferrara (1876), Saggio d’analisi delle principali piante foraggere di Romagna (1873), Saggio analitico di altre 12 piante foraggere (1875). Molti suoi scritti vennero pubblicati all’interno degli Annali della Stazione agraria sperimentale di Forlì (1872 – 1894), di cui fu segretario affiancando il Presidente Alessandro Pasqualini, e negli Atti del Comizio Agrario di Forlì (1881) come pure all’interno del Giornale Agrario italiano di Bologna che grazie al grande impulso dato dal forlivese divenne il più apprezzato periodico di economia rurale del tempo.

Le sue più importanti ricerche furono condotte nell’ambito della viticoltura che in quel periodo era in grave difficoltà a causa della “peste delle viti”, la filossera, e la sua attività di indagine creò negli agricoltori la consapevolezza della loro scarsa capacità imprenditoriale e degli errori commessi nella coltivazione della vite. Al Comizio agrario di Ancona del 1879 affermò che “… non potiamo bene le nostre viti, mal sappiamo fecondarle, e le piantiamo troppo profonde, e soverchiamente vicine”.  

In quell’occasione affermò anche che “L’Italia deve fornire l’umile vino da pasto come il più squisito vino di lusso a mezza Europa”, ribadendo il concetto più volte espresso che “precipua fonte di ricchezza all’Italia deve esser la viticoltura”.  In qualità di funzionario del Ministero dell’Agricoltura, promosse e tutelò l’enologia e incentivò la produzione e l’esportazione dei vini italiani.

I volumi e gli opuscoli presenti nel Fondo Pasqui dimostrano anche l’interesse dell’agronomo verso la nascente industria chimica per la produzione di concimi, fertilizzanti e anticrittogamici da impiegare in agricoltura, l’applicazione dei motori a vapore per l’estrazione dell’acqua, l’essicamento dei cereali per combattere la pellagra che falcidiava la popolazione delle campagne, l’introduzione delle aratrici meccaniche per vigneti, dei motori elettrici e a turbina per le macchine agricole e l’introduzione di nuove colture come la barbabietola da zucchero (la costruzione dello Zuccherificio Eridania a Forlì è del 1900), la produzione della seta artificiale e l’uso della gomma che veniva pian piano a sostituire l’impiego del caucciù nell’industria.

Ma sicuramente i materiali che meglio illustrano le curiosità di questo tecnico-agronomo viaggiatore e il clima mondano e cosmopolita in cui venne a trovarsi nel corso dei suoi viaggi in giro per l’Europa, sono i materiali raccolti durante la sua permanenza all’Esposizione Agraria Universale di Vienna del 1873, poi a quelle di Parigi del 1878, del 1899 e del 1900 e alle Esposizioni di Milano del 1881, del 1894 e del 1906 e di Torino del 1884 e del 1911. 

In alcune buste del Fondo Pasqui, accanto a tre taccuini in cui il forlivese annotava con scrupolosa minuzia i suoi ricordi di viaggio, sono raccolte le planimetrie delle varie  Esposizioni, che ben illustrano la sovrapposizione sulla città di un complesso progetto di ristrutturazione urbana in occasione delle rassegne, le guide illustrate, decine di colorati cartoncini pubblicitari delle Ditte presenti alle Esposizioni, inviti a pranzi di gala, menu, biglietti da visita, biglietti di viaggio in treno o in mongolfiera, cartoncini d’ingresso alle Esposizioni, alle mostre collaterali con le immancabili attrazioni, a concerti e a spettacoli di danza, lettere del Ministero dell’Agricoltura accanto a quelle di amici e conoscenti che si rivolgevano a lui per ottenere un aiuto per meglio valorizzare i loro prodotti in seno alle rassegne, o che gli inviavano richieste per l’acquisto di prodotti agricoli, di macchinari all’avanguardia e di articoli di profumeria, di strumenti ottici di precisione oppure di insoliti oggetti, come nel caso di un curioso “termometro-violino”, citato in una cartolina postale esposta in mostra.

Passando in rassegna questi documenti si può ben immaginare con quale stupore ed entusiasmo questo self-made man guardasse lo straordinario flusso di visitatori, di merci, di prodotti naturali e artificiali, di macchine, di manufatti, di opere d’artigianato e d’arte e tutto ciò che in pochi decenni l’ingegno umano aveva potuto produrre, raccolto in un unico luogo in cui venivano messi in scena, pur con molte contraddizioni e ingenuità, nel loro aspetto più futile e spettacolare, le meraviglie della scienza, l’audacia degli ingegneri, l’illimitata curiosità degli scienziati, il coraggio e la determinazione degli imprenditori, di una società che credeva in se stessa e nelle “magnifiche sorti e progressive” che il positivismo aveva preconizzato. 

Testo di Antonella Imolesi Pozzi


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