Il suo ingresso nella scena avviene in un momento cruciale. All’inizio degli anni Ottanta dell’Ottocento, quando l’istruzione agraria è ancora un sistema fragile, disomogeneo e spesso affidato a iniziative locali incerte, il Ministero di Agricoltura istituisce un vero e proprio corpo ispettivo. È il 1° febbraio 1880 quando Pasqui viene nominato ispettore: una carica che, come il testo chiarisce, non ha nulla di meramente notarile. L’ispettore agrario è chiamato a viaggiare, osservare, correggere, mediare; a dirimere conflitti tra direttori e amministrazioni locali; a presiedere esami; a intervenire nelle crisi finanziarie e disciplinari degli istituti; e, soprattutto, a fungere da ponte stabile tra il centro ministeriale e le realtà periferiche. In un sistema scolastico che non dipende dal Ministero della Pubblica Istruzione ma da quello “economico”, questa funzione di raccordo è vitale.
Fin dall’inizio Pasqui si distingue come uno degli ispettori del cosiddetto “periodo fondativo”. Il volume sottolinea come a lui – insieme con Ricca Rosellini – non sia affidato solo il controllo dell’esistente, ma anche un compito più sottile e politicamente delicato: favorire la nascita di nuove scuole agrarie, soprattutto nelle aree dove resistenze, inerzie o rivalità locali rischiano di bloccare ogni iniziativa. In questi casi l’ispettore non si limita a valutare progetti: raccoglie informazioni sul contesto, misura le ambizioni dei notabili, sostiene deputati e prefetti, contribuisce a “normalizzare” iniziative troppo fragili o troppo velleitarie. Pasqui appare così come un vero imprenditore istituzionale, capace di tradurre un indirizzo politico generale in soluzioni praticabili sul territorio.
Il testo offre poi diversi esempi concreti della sua azione sul campo, che restituiscono un ritratto vivido del suo stile. A Cesena, nel 1882, gli viene affidata un’inchiesta delicata sulla condotta del direttore della scuola pratica. Pasqui procede con un’indagine minuziosa, raccogliendo testimonianze e valutando il clima interno, e giunge a una conclusione equilibrata: riconosce irregolarità e leggerezze, ma esclude intenti fraudolenti e propone una semplice ammonizione, sufficiente – a suo giudizio – a rimettere l’istituto in carreggiata senza comprometterne la stabilità. È un approccio rivelatore: l’obiettivo non è punire, ma salvare la funzione educativa della scuola, evitando che un provvedimento troppo severo produca danni irreversibili in un sistema ancora giovane.
A Conegliano, nello stesso anno, Pasqui affronta un problema diverso ma altrettanto tipico dell’istruzione agraria: l’eccesso di spesa e di personale tecnico rispetto alle reali possibilità finanziarie. Qui il confronto con le autorità locali è acceso, ma Pasqui lo governa con un’arma precisa: i numeri. Analizzando il bilancio, dimostra come alcune voci siano gonfiate e come il “lusso” di assistenti e figure tecniche ecceda i bisogni effettivi dell’istituto. Non lo fa per mortificare l’iniziativa locale, ma per ricondurla entro un quadro sostenibile, difendendo implicitamente l’idea stessa di scuola agraria come investimento pubblico serio e non come progetto affidato all’entusiasmo del momento.
Questi episodi mostrano bene perché Pasqui diventi, nel tempo, una figura di riferimento. In un passaggio significativo, il volume segnala come le sue relazioni ispettive vengano difese per la loro chiarezza e completezza, in contrasto con altri rapporti giudicati confusi o parziali. Le sue ispezioni sono considerate attendibili proprio perché tengono insieme rigore amministrativo e conoscenza diretta delle persone e dei contesti. Anche questo è un aspetto essenziale del suo ruolo: Pasqui contribuisce a costruire la credibilità tecnica e morale dell’amministrazione agraria.
Un passaggio notevole è quello in cui un documento discute le critiche del Consiglio di Stato a un rapporto ispettivo (definito “disordinato e confuso”) e replica che il rapporto di Pasqui non è né disordinato né parziale: contiene deposizioni, elenco accuse, esito delle indagini; esclude malversazioni ma riconosce irregolarità non disoneste e persino “relazioni amorose” imputate al direttore. Questo è importante perché mostra che Pasqui non è solo “attore” ma anche metro di qualità: il suo modo di ispezionare e scrivere relazioni diventa oggetto di valutazione e difesa. In un settore in cui la credibilità amministrativa è decisiva per ottenere fondi e legittimazione, la solidità dei rapporti ispettivi è parte del successo dell’istruzione agraria.
La traiettoria della sua carriera conferma questa centralità. A differenza di altri ispettori, Pasqui non resta confinato in una funzione laterale, ma assume progressivamente incarichi direttivi, fino a raggiungere, nel 1909, il vertice della Direzione generale. Il volume documenta come la sua uscita di scena, nel 1911, venga accompagnata da un riconoscimento ufficiale dei “lunghi ed onorevoli servizi” prestati allo Stato. È un passaggio simbolico ma eloquente: l’uomo che aveva iniziato come assistente e docente di discipline agrarie e tecniche diventa il punto di riferimento dell’intero apparato amministrativo del settore. Nel complesso, Tito Pasqui rappresenta una figura chiave per comprendere che cosa sia stata davvero l’istruzione agraria nell’Italia postunitaria: non solo un insieme di scuole e programmi, ma un campo di mediazione continua tra sapere scientifico, amministrazione pubblica e realtà locali. La sua opera mostra come la modernizzazione agricola passi anche – e forse soprattutto – attraverso funzionari capaci di coniugare competenza tecnica, sensibilità istituzionale e pragmatismo politico. In questo senso, Pasqui non è soltanto un protagonista della storia dell’istruzione agraria: ne è uno dei principali architetti silenziosi, come emerge con chiarezza dal volume da cui questo ritratto è tratto

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