Da questo clima prende avvio la Chronique agricole de l'Italie di A. Ronna, riportata tra le pagine 349 e 351 del citato Journal, che racconta con precisione e vivacità l’eccezionale esposizione del Circolo Enofilo Italiano, inaugurata mentre la Società degli agricoltori teneva le sue assise annuali. L’evento non è un episodio isolato: affonda le radici nella lunga storia del Circolo, iniziata a Torino nel 1866 sotto il patrocinio del conte di Sambuy, proseguita a Firenze nel 1869 grazie al cavaliere Focardi e stabilitasi definitivamente a Roma nel 1876, con il sostegno del conte Calabrini. Dal 1881 l’Eldorado è la sua sede, vetrina stabile dei progressi dell’enologia nazionale.
Il giudizio di Ronna è netto: in decenni di attività, il Circolo Enofilo ha contribuito in modo concreto al miglioramento delle tecniche di produzione e allo sviluppo del commercio dei vini nella penisola, guadagnandosi la riconoscenza dei viticoltori. L’edizione del 1901 ne è la prova più luminosa. Sotto la presidenza dell’onorevole Scaramella Manetti e l’instancabile impulso del segretario Raniero Fini, il Comitato riesce a riunire il meglio dei produttori e dei negozianti, impreziosendo il concorso con due coppe d’argento artistiche offerte dal re. L'approfondimento del Journal è la vetrina attraverso cui la Francia guarda con curiosità i progressi dell'enologia italiana di quel periodo e inizia a preoccuparsene.
La fiera dei vini, inaugurata l’8 febbraio 1901 alla presenza dei rappresentanti del Ministero dell’Agricoltura, del prefetto, delle istituzioni provinciali, della Camera di commercio e del comizio agrario, conosce un successo continuo, sostenuto da una folla di visitatori per tutta la durata della manifestazione. Le coppe reali per i migliori vini da tavola vengono assegnate all’onorevole deputato Frascara di Sezze, come produttore, e al romano P. Chiappa, come negoziante. Medaglie d’oro premiano le cantine Papadopoli di San Polo di Piave e le Cantine Riunite di Soave, mentre, tra i commercianti, spicca la casa Cogliati di Empoli.
Ma l’originalità dell’edizione sta soprattutto nell’audace abbinamento tra enologia e “artiglieria pacifica”. Accanto alle bottiglie sfilano i cannoni antigrandine, detti grandinifughi, che attirano curiosi e specialisti. Già discussi e sperimentati al congresso di Padova, all’Eldorado si presentano in una rassegna ancora più ricca: venticinque modelli diversi di bocche da fuoco, tromboni e cornette, tra cui il celebre cannone Vermorel di Villefranche-sur-Saône. Numerosi sindacati agricoli si iscrivono alle prove di tiro autorizzate nel poligono di San Lorenzo; una vera letteratura tecnica – memorie, statistiche, studi di professori italiani e francesi come Vermorel ed Edmond Halphen – accompagna l’esposizione.
Le discussioni portano a conclusioni operative: proposta di una legge che renda obbligatoria l’assicurazione sulla vita per gli artiglieri dei sindacati antigrandine; richiesta di una riduzione consistente dei premi assicurativi; istituzione di un controllo obbligatorio sulle bocche da fuoco, secondo l’idea di monsignor Scotton. Il comitato tecnico, presieduto dal maggiore d’artiglieria Pistoi, sovrintende alle prove: trenta colpi consecutivi per ogni pezzo, a comando o a intervalli regolari. Il re stesso assiste alle dimostrazioni, mostrando particolare interesse per gli strumenti di misurazione dell’altezza del tiro e per le polveri a lunga gittata studiate dal professor Parrozzani.
Rigorosi i criteri di valutazione: sicurezza assoluta, semplicità ed economia d’uso. Nessuna medaglia d’oro viene assegnata alle bocche da fuoco; due sole ottengono l’argento, il mortaio di A. Pilotti di Belluno e il pezzo a caricamento posteriore della ditta Grondona & C. di Milano. Premi e menzioni onorifiche completano il quadro, riconoscendo meriti a tecnici, professori e sindacati agricoli italiani e stranieri. Parallelamente, il Circolo convoca le riunioni dei viticoltori del Lazio. Si discute di vinificazione razionale, di credito agrario, di lotta alla fillossera, di sindacati contro la grandine. Le proposte sono concrete: cantine cooperative o sindacati di produzione, abolizione o riforma dei dazi sul vino, repressione delle sofisticazioni, revisione dei contratti agricoli, prove di tiro persino contro le nebbie. Tutto converge verso un obiettivo: rafforzare la viticoltura come pilastro dell’economia nazionale.
Il ciclo si chiude con un banchetto solenne, cento coperti, vini dei migliori cru offerti dai premiati. Qui tornano a risuonare i nomi: il presidente Barbarisi, il generale Queirazzi, il commendatore Tito Pasqui. E qui l’onorevole Pantano, dall’estrema sinistra, lancia il suo appello: più esposizioni vinicole, più sostegno pubblico, più consumo interno a vantaggio delle classi lavoratrici. Perché – conclude – il vero rimedio alla sovrapproduzione dei vini non è il freno, ma la diffusione del consumo e l’abolizione dei gravami fiscali. Così, tra calici e cannoni, la cronaca di Ronna restituisce l’immagine di un’Italia agricola inquieta e ambiziosa, sospesa tra sperimentazione tecnica, riforme economiche e orgoglio nazionale.

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