L’episodio del cannocchiale si inserisce in un contesto documentario assai più ampio, emerso dall’analisi del materiale conservato presso la Biblioteca Saffi di Forlì. In particolare, lo scatolone n. 46 raccoglie le tracce del soggiorno parigino di Pasqui durante l’Esposizione del 1900 e restituisce l’immagine di un uomo che viveva quell’esperienza come un’occasione totale, non limitata agli aspetti professionali. Accanto a ritagli di giornale italiani e stranieri che seguono giorno per giorno l’andamento della rassegna, si trovano biglietti da visita di espositori, tecnici e funzionari, inviti ufficiali, menu di pranzi e cene, biglietti ferroviari, ricevute di alberghi, libretti teatrali. È un archivio della vita vissuta, che documenta non solo ciò che Pasqui vedeva e studiava, ma anche come si muoveva, con chi entrava in contatto, quali ambienti frequentava.
Questa pluralità di materiali riflette una personalità estremamente ordinata e consapevole del valore della memoria. Pasqui conservava tutto con cura, come se ogni documento potesse un giorno tornare utile: per un confronto tecnico, per un ricordo personale, per una riflessione successiva. Tale atteggiamento conferma il profilo di un uomo meticoloso e rigoroso, ma al tempo stesso aperto e curioso, capace di coniugare l’osservazione scientifica con l’interesse per la dimensione culturale e sociale dell’evento. Le serate a teatro, gli incontri conviviali, gli scambi epistolari con amici e conoscenti illustri convivono, senza soluzione di continuità, con l’attenzione alle macchine, alle innovazioni agricole, ai modelli organizzativi presentati dai diversi paesi.
La partecipazione di Tito Pasqui all’Esposizione Universale del 1900 si inserisce del resto in una più ampia attività di rappresentanza dell’Italia nelle esposizioni agricole internazionali, dove egli operò come osservatore competente e come interprete delle trasformazioni in atto. In un momento in cui l’agricoltura italiana era chiamata a confrontarsi con la concorrenza estera e con la necessità di modernizzarsi, Pasqui guardava a questi eventi come a luoghi di apprendimento e di confronto, raccogliendo idee, contatti e suggestioni da rielaborare poi nel contesto nazionale.
Il materiale parigino consente dunque di cogliere, in una forma concreta e quasi tangibile, l’intreccio tra vita privata e impegno pubblico che caratterizzò Pasqui. Il cannocchiale richiesto dall’amico, i biglietti di un albergo, un menu annotato, una lettera ricevuta raccontano la stessa persona che studiava macchine agricole e rappresentava l’Italia all’estero: un uomo stimato, affidabile, profondamente inserito nel suo tempo, capace di unire rigore professionale, sensibilità umana e attenzione per i dettagli. È proprio in questa continuità tra il grande e il piccolo, tra l’ufficiale e il quotidiano, che emerge con maggiore chiarezza la personalità di Tito Pasqui e il senso profondo della sua esperienza parigina.

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