L’attività di Tito Pasqui come promotore della meccanizzazione agricola rappresenta uno degli aspetti più originali e lungimiranti del suo impegno scientifico e civile, ed è strettamente legata sia al contesto romagnolo sia alla tradizione familiare da cui proveniva. Figlio di Gaetano Pasqui, noto agronomo e inventore di attrezzi agricoli, Tito crebbe in un ambiente profondamente sensibile all’innovazione tecnica applicata all’agricoltura. Gaetano Pasqui fu infatti autore di importanti miglioramenti agli strumenti di lavoro dei campi, progettando e sperimentando aratri e macchine che miravano a rendere più efficiente il lavoro agricolo e ad adattarlo alle caratteristiche dei suoli romagnoli. Questa eredità intellettuale ebbe un ruolo decisivo nella formazione di Tito, che fin da giovane maturò la convinzione che il progresso dell’agricoltura dovesse passare attraverso l’integrazione tra scienza, tecnica ed esperienza pratica.
Nel solco tracciato dal padre, Tito Pasqui sviluppò una visione moderna dell’agricoltura, fondata sull’introduzione consapevole delle macchine nei processi produttivi. Nei suoi studi e nelle sue pubblicazioni analizzò in modo sistematico i vantaggi della meccanizzazione, soffermandosi su aratura, semina, trebbiatura e lavorazioni del terreno, e sottolineando come l’uso razionale delle macchine potesse aumentare la produttività, ridurre la fatica umana e migliorare l’organizzazione delle aziende agricole. Particolare attenzione fu riservata alla Romagna, che Pasqui considerava un laboratorio ideale per sperimentare nuove soluzioni tecniche. In questa regione, caratterizzata da un’agricoltura intensiva ma ancora fortemente legata a metodi tradizionali, egli promosse l’introduzione graduale di macchinari moderni, adattandoli alle condizioni locali dei suoli, delle colture e della struttura fondiaria.
Pasqui non concepì mai la meccanizzazione come un semplice trasferimento di modelli industriali all’agricoltura, ma come un processo da governare con equilibrio. Nei suoi scritti mise in guardia contro l’adozione indiscriminata delle macchine, insistendo sulla necessità di formare gli agricoltori e di valutare attentamente i costi, i benefici e le ricadute sociali dell’innovazione. In Romagna, in particolare, sostenne che il progresso tecnico dovesse andare di pari passo con il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori rurali e con una più efficiente gestione delle risorse naturali.
Attraverso l’insegnamento, la divulgazione e l’attività pubblica, Tito Pasqui contribuì in modo decisivo a diffondere una cultura agricola moderna, erede dell’opera pionieristica del padre Gaetano. La sua azione sulla meccanizzazione romagnola non fu soltanto tecnica, ma anche culturale e politica, perché mirava a trasformare l’agricoltura in uno dei motori principali dello sviluppo economico e sociale dell’Italia tra Otto e Novecento.

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