Un articolo de "La Gazzetta di Venezia" di lunedì 1° giugno 1908 ci restituisce una preziosa testimonianza di questo processo, citando il lavoro della commissione incaricata dal Ministero di Agricoltura di accertare il completamento dei lavori di bonifica nella pianura mantovana-reggiana. Tra i membri di questa commissione spicca il nome di Tito Pasqui. Secondo il giornale, la commissione visitò “particolarmente tutta la plaga della bonifica”, esaminando non solo l’estensione dei terreni recuperati – oltre 32.500 ettari – ma anche le infrastrutture più imponenti, come il grande collettore sotto il fiume Secchia e il colossale stabilimento di sollevamento. L’opera aveva richiesto un investimento enorme per l’epoca, circa 19 milioni di lire, ma il resoconto giornalistico sottolinea come la spesa si fosse già dimostrata “largamente rimuneratrice”. Questo giudizio positivo non nasceva da impressioni superficiali, bensì da un’analisi tecnica dettagliata, frutto del lavoro congiunto di ingegneri, medici e funzionari statali.
In questo quadro emerge con forza la figura di Tito Pasqui, indicato come ispettore generale del Ministero. Il suo compito non era soltanto quello di vigilare formalmente sui lavori, ma di raccogliere dati, coordinare le competenze e redigere una relazione conclusiva destinata direttamente al Ministro. Il giornale sottolinea come Pasqui, sulla base dei dati raccolti insieme agli altri membri della commissione, stesse preparando una “particolareggiata relazione” che sarebbe stata presentata al Ministero dell’Agricoltura. Questo dettaglio rivela molto del suo ruolo: Pasqui non era un semplice burocrate, ma un mediatore tra tecnica, amministrazione e politica, capace di tradurre la complessità delle opere idrauliche in valutazioni strategiche per lo Stato.
La presenza di Tito Pasqui nella commissione per la bonifica mantovana-reggiana testimonia come, già nel 1908, l’Italia stesse costruendo una classe tecnico-amministrativa altamente specializzata. Figure come la sua contribuivano a portare nel Paese una visione moderna del territorio, in cui l’intervento pubblico era guidato da competenze scientifiche e da un’attenta valutazione dei costi e dei benefici. In territori come Mantova e la zona di Reggio Emilia, la bonifica non significò solo più campi coltivabili, ma anche la riduzione delle malattie, la stabilizzazione delle comunità rurali e una nuova fiducia nel progresso.

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