Tra le pagine della Rivista Mensile del Touring Club Ciclistico Italiano (Volume 15, 1909), compare una segnalazione che menzionava Tito Pasqui come presidente di un “concours international” dedicato alle “automobili agrarie”. Questo dettaglio, pur nel linguaggio ottocentesco, rivela che la tecnologia dei veicoli motorizzati aveva già iniziato ad assumere un ruolo chiave non solo tra gli appassionati di motori ma anche nella rivoluzione delle macchine agricole. La menzione, benché concisa, sottolinea che Pasqui in quel 1909 era stato scelto come presidente di una giuria internazionale dedicata alle automobili agrarie.
In quegli anni, gli agricoltori e gli ingegneri si interrogavano su come motori e meccanica potessero rivoluzionare la coltivazione. Non si trattava solo di motori per le strade, ma di macchine che potessero alleggerire il lavoro nei campi: dalla trebbiatrice motorizzata alle macchine trainate dal propulsore a combustione interna. La partecipazione di Pasqui come presidente indica: la capacità di unire innovazione scientifica e pratiche agricole; la sua visione di un’agricoltura che guarda non solo ai campi ma anche alla tecnologia meccanica. Immagina una giuria internazionale riunita a confrontare modelli di macchine, discutere di impieghi, efficienza e costi: era il germe delle moderne fiere agricole e della meccanizzazione rurale. E Pasqui era al centro di questa rivoluzione. Tito Pasqui non fu solo un burocrate: fu un agronomo con visione internazionale. Partecipò come rappresentante del governo italiano a importanti esposizioni universali (come Parigi nel 1900) ed era stato decorato con onorificenze prestigiose, tra cui la Legion d’onore francese.
Se l’automobile di fine Ottocento è spesso raccontata come simbolo di velocità, mondanità e progresso urbano, esiste un capitolo meno noto ma decisivo della sua storia: l’ingresso del motore a scoppio nei campi. Ed è proprio qui che la figura di Tito Pasqui emerge con particolare chiarezza, non solo come funzionario statale, ma come regista tecnico e culturale della meccanizzazione agricola italiana. Il Ministero dell’Agricoltura promosse, con esiti particolarmente felici, un Concorso per automobili agrarie, tenutosi a Piacenza nel settembre (in concomitanza con quello per le automobili industriali). Il successo dell’iniziativa fu dovuto non solo all’interesse delle case costruttrici, ma soprattutto al rigore scientifico con cui furono condotte le prove, vere e proprie sperimentazioni sul campo.
Il concorso era articolato in tre categorie, che fotografano con sorprendente modernità le esigenze dell’agricoltura meccanizzata: Categoria A: macchine con motore a esplosione per il trasporto di pesi e il rimorchio di carri; Categoria B: macchine con motore a esplosione per la trazione agricola (aratri, macchine da raccolto, ecc.); Categoria C: macchine con motore a esplosione per il comando di macchine fisse, come trebbiatrici e trinciapaglia.
Non si trattava quindi di semplici dimostrazioni, ma di un vero laboratorio sperimentale all’aperto, pensato per valutare affidabilità, potenza, versatilità e adattabilità dei veicoli alle condizioni reali del lavoro agricolo.
A presiedere la giuria fu l’ispettore generale dell’Agricoltura, comm. ing. Tito Pasqui, una scelta tutt’altro che casuale. Pasqui rappresentava infatti il punto di incontro tra competenza tecnica, esperienza amministrativa e visione riformatrice. La fonte sottolinea come egli partecipò in prima persona ai lunghi e accurati lavori della giuria, affiancato da figure di primo piano: il dott. Giuseppe Visocchi, l’ing. Mario Castelli, professore di Ingegneria rurale alla Regia Scuola Superiore di Agricoltura di Perugia, l’ing. Girolamo Oreglia, della Federazione Agraria dei Consorzi Agrari di Piacenza. Un collegio che univa scienza, didattica e pratica agricola, riflettendo perfettamente l’impostazione di Pasqui: valutare le macchine non come curiosità meccaniche, ma come strumenti di trasformazione economica e sociale.
Dopo prove lunghe e pazienti, la giuria presentò al Ministro dell’Agricoltura una dettagliata relazione conclusiva, dalla quale emergono i premi assegnati. Per la Categoria A, dedicata al trasporto agricolo: Primo premio (Diploma d’onore e 1000 lire) alla Ditta G. Soller di Basilea, per il Camion Soller con ruote a cerchioni in ferro. Secondo premio (Medaglia d’oro e 500 lire) alla Süddeutsche Automobilfabrik Gaggenau, per il Camion S.A.G. da 28 HP, con ruote e cerchioni in gomma piena.
È un dettaglio fondamentale: le migliori soluzioni arrivano dall’Europa, segno che Pasqui e il Ministero guardavano oltre i confini nazionali, favorendo il confronto internazionale e l’adozione delle tecnologie più avanzate.
Il concorso di Piacenza non fu un episodio isolato, ma uno dei primi tentativi sistematici di portare il motore a scoppio dentro l’economia agricola italiana. E al centro di questo processo troviamo Tito Pasqui: non un semplice presidente di giuria, ma un garante della serietà scientifica, un mediatore tra Stato, tecnica e mondo rurale. Oggi, nell’epoca dei trattori intelligenti e dell’agricoltura di precisione, quella figura ottocentesca con i baffi eleganti appare sorprendentemente attuale. Pasqui aveva già compreso che l’innovazione agricola non nasce dall’improvvisazione, ma da prove, dati, confronti e visione. Nel 2025, tra robotica, droni agricoli e agricoltura di precisione, possiamo guardare a Pasqui come a un antesignano del pensiero integrato tra tecnologia e mondo rurale. La sua presidenza del concorso internazionale sulle automobili agrarie non è solo un dettaglio d’archivio: è un simbolo di come, già cent’anni fa, si cercava di unire innovazione e lavoro nei campi.

