L’occasione storica fu l’Esposizione Internazionale di Faenza del 1908, organizzata per celebrare il terzo centenario della nascita di Evangelista Torricelli. L’evento, concepito come una vetrina delle arti applicate e in particolare della ceramica, mise in luce l’eccezionale patrimonio tecnico e artistico di Faenza e, al tempo stesso, fece maturare l’idea di una sede permanente capace di raccogliere, studiare e valorizzare la produzione ceramica mondiale. Fu in questo contesto che Tito Pasqui entrò in scena con un ruolo tutt’altro che marginale.
Pasqui, imprenditore colto e figura di spicco del panorama culturale romagnolo, seppe intuire immediatamente il valore strategico del progetto museale, comprendendo come esso potesse diventare non solo un presidio culturale, ma anche uno strumento di prestigio internazionale per il territorio. La sua adesione al comitato promotore del museo non fu formale: egli agì come facilitatore, mediatore e garante, contribuendo a trasformare un’idea ambiziosa in un’iniziativa concreta e credibile.
Il contributo di Tito Pasqui si espresse innanzitutto nella costruzione di una rete di relazioni istituzionali e culturali, indispensabile per dare forza al nascente museo. La sua autorevolezza personale e la sua esperienza gli consentirono di attrarre consensi, sostenitori e donazioni, rafforzando il progetto agli occhi delle amministrazioni pubbliche, degli studiosi e dei collezionisti. In un’epoca in cui la sopravvivenza di un’istituzione culturale dipendeva in larga misura dal sostegno privato e dalla fiducia delle élite intellettuali, il ruolo di Pasqui risultò cruciale. Accanto all’azione di Ballardini, più direttamente rivolta all’impostazione scientifica e museografica, Pasqui rappresentò la spina dorsale civica e organizzativa del progetto. La sua presenza nel comitato fondatore contribuì a conferire al Museo una dimensione non effimera, ma strutturata, capace di superare i limiti temporali dell’esposizione del 1908. Grazie anche al suo apporto, il MIC nacque con una vocazione autenticamente internazionale, fondata su scambi, donazioni e relazioni che travalicavano i confini nazionali.
Non va sottovalutato, inoltre, il ruolo simbolico svolto da Tito Pasqui. La sua partecipazione testimoniava come il progetto del Museo non fosse esclusivamente l’iniziativa di storici dell’arte o di ceramisti, ma un’impresa collettiva, sostenuta da una borghesia illuminata consapevole del valore culturale e identitario della ceramica. In questo senso, Pasqui incarnò una figura di raccordo tra mondo produttivo, cultura e istituzioni, anticipando un modello di collaborazione che sarebbe diventato centrale nel Novecento. Con il passare degli anni, la memoria storica ha spesso privilegiato i nomi più direttamente legati alla direzione artistica e scientifica del Museo. Tuttavia, una lettura più attenta delle origini del MIC restituisce a Tito Pasqui il posto che gli spetta: quello di co-fondatore morale e strategico, senza il quale l’istituzione difficilmente avrebbe potuto affermarsi con la stessa rapidità e autorevolezza.
In conclusione, se Gaetano Ballardini fu l’anima progettuale del Museo Internazionale delle Ceramiche, Tito Pasqui ne fu uno dei pilastri silenziosi ma indispensabili, capace di sostenere, legittimare e consolidare un’idea che ancora oggi rappresenta uno dei più importanti punti di riferimento mondiali per lo studio e la valorizzazione della ceramica.






