Visto dai socialisti

Nel libro "Alessandro Balducci e gli albori del socialismo nel forlivese (1880-1904)" di Rolando Balducci, pubblicato da Garzanti nel 1954, si cita, dal punto di vista socialista, la breve esperienza da deputato di Tito Pasqui con queste parole:

"I partiti popolari combatterono divisi con l'intesa di unirsi in ballottaggio. Il candidato repubblicano avvocato Turchi era cesenate e non troppo accetto ai socialisti che si affermarono sul nome di Balducci. Nel ballottaggio molti si astennero. Per pochi voti ebbe la meglio un certo Pasqui, forlivese, fortisiano e gros bonnet del Ministero della agricoltura, che già si sapeva ineleggibile. Ed anche nelle amministrative vinse ancora la moderateria, avendo i socialisti preferito non far lista comune coi repubblicani, il che visto da così lontani tempi ci fa dire che fu un errore se si considera che essi non potevano non avvertire l'avanzata della reazione governativa in tutta Italia". (pag.96).

"Per i repubblicani romagnoli Mazzini e repubblica volevano dire una cosa sola: instaurazione di un mondo più giusto, senza miseria, senza sfruttamento, e questo vedersi tacciar di borghesi doveva necessariamente sollevare proteste e reazioni da parte di gente violenta e di sangue caldo. Malgrado questo e per tentare di sopire il doloroso dissidio, i socialisti nelle elezioni provinciali decisero di appoggiare il candidato repubblicano che riuscì infatti eletto contro il moderato Pasqui; questi finì così la sua vita politica forlivese con poca gloria". (pagg.108-109). 


Liberi Tiratori

Anche e forse soprattutto in ambito locale, esiste un fenomeno che fa sì che uno (con o senza competenze specifiche) sia sempre presidente di qualcosa, talora par proprio che “presidenti” si nasca. Ecco, questa cosa all'ennesima potenza toccò al semidio del Risorgimento. Nella Forlì degli anni Sessanta dell'Ottocento, Giuseppe Garibaldi era presidente o, meglio “preside”, di qualsiasi sodalizio possibile, sempre ovviamente orientato alle idee del nizzardo. Chi sa se poi, l'eroe dei due mondi, venisse a conoscenza di tanti incarichi. Probabilmente mai non seppe di un tentativo dal nome suggestivo: la “Società dei Liberi Tiratori”. L'attività, vista con sospetto, finì nel fascicolo n.54 del 1868 della Regia Prefettura di Forlì. Il testo di questo articolo lo si legge anche qui

Qual era il problema? Siamo negli anni in cui nascono parecchie Società di Tiro a Segno e, così per dire, Giuseppe Garibaldi erano stato nominato “Presidente di tutti i Tiri a Segno” della Nazione appena nata, già nell'estate del 1861. La motivazione allora appariva chiara: l'eroe dei due mondi vedeva l'arte del maneggio della carabina come necessaria in quel periodo storico. Da Torino giunsero fondi alle Province  per promuovere le locali sezioni di Tiro a Segno. Lo scopo non era propriamente ludico, voleva essere una specie di “servizio militare di massa”: i giovani, a Unità d'Italia raggiunta, dovevano saper sparare, dovevano aver quei rudimenti tali da non far sfigurare i padri che di schioppi risorgimentali se ne intendevano bene. 

A Forlì, la prima vera e propria Società di Tiro a Segno venne costituita il 25 marzo 1884. Dopo un anno i soci erano 375, cui si aggiungevano 54 aspiranti distribuiti nei riparti: “scuole”, “milizia”, “libero”. Ora però, qui non si vuole dettagliare la storia – invero molto interessante - della più antica associazione sportiva esistente in città, la sezione forlivese del Tiro a Segno Nazionale, appunto, e del vasto poligono su viale Roma (l'immagine si riferisce a questa gloriosa realtà). S'intende, invece, qualcosa di altro genere, qualcosa che suscitava grattacapi alle autorità. 

L'anno '68 porta sconvolgimenti: nell'aprile del 1868, appunto, scoppiò il caos per una “tassa sulla ricchezza mobile” che farà chiudere le serrande a commercianti. Divampavano gli scioperi e addirittura venne chiusa l'Università di Bologna, sede di professori e studenti “attenzionati” dalla Polizia. No, non la si sta prendendo alla larga perché la storia dei “Liberi Tiratori” è tutta concentrata nel caldo aprile del 1868 e pone in connessione l'Università di Bologna con i mazziniani forlivesi; però, almeno qua, sarà un fuoco di paglia. Pare evidente che allora la gente si arrabbiava sul serio.

A Forlì, la locale Società Democratica o del Progresso (presieduta anch'essa da Garibaldi) era stata malgestita “dopo i furti e gli smanchi di cassa commessi dal vecchio Danesi, ora defunto, e dall'avv. Camillo Amadio” tanto che “la società stessa siasi quasi totalmente sciolta avvegnaché nessun socio paga la dovuta tangente e nessuno si presenta alle adunanze”. A questo punto è bello sentire la voce dell'Ottocento, lasciando, del fitto carteggio istituzionale, alcuni brani che sembrano ricamare un libretto di Verdi. Da tempo si pensava di “introdurre un'altra Società ossia di riorganizzare la vecchia con altri capi e sotto il titolo di Società dei Liberi Tiratori, il di cui programma ancora non si conosce quantunque già a ritenersi per certo tenda ad uno scopo mazziniano”. Così, nella sera del 17 aprile 1868, alcuni studenti forlivesi domiciliati a Bologna, tornarono a Forlì per sondare il terreno dell'insurrezione in questa città. “Il noto avvocato Alessandro Fortis parrebbe uno dei promotori ed il caporione di questa compagnia, ed anzi per dargli una attenzione e credito maggiore avrebbe pregato di fare propaganda anche nella classe di ben pensanti e dei moderati”. Infatti, “tentò di fare una piccola adunanza per prepare l'elemento necessario per fondare questa società, ed estese l'invito ad onesti cittadini che poi non si presentarono”. Pertanto “si unirono quindi nel solito locale della Società Democratica il Fortis agli studenti Pasqui, Panciatichi, Gaudenzi, Rossi Nino e l'avv. Amadio ed altri che in tutto non erano che dieci o dodici”. Fortis, a quel tempo, era praticante del Deputato forlivese e avvocato Oreste Regnoli, professore a Bologna. Per la Prefettura si tratta di “scompaginati elementi della democrazia forlivese” che “si raccolsero per veder modo di ripigliare la mala vita già vissuta”. E questi “obbedivano evidentemente ai cenni dell'audace conventicola bolognese, la ormeggiavano anco pel vincolo che unisce e subordina al maestro; e maestri infatti erano Ceneri, Filopanti, ed altri con loro, i quali li sfruttavano per loro fini personali, pei loro prepotenti spiriti demagogici, per cavarne l'apparenza d'un seguito numeroso fra le Romagne”. Tutto torna, perché i “maestri” citati, cioè quei professori universitari, erano stati arrestati, e tra i più caldi insorti contro questa censura ci “furono questi giovani che ho ricordato avanti” perché “dettarono le proteste, tennero balia (e il Pasqui qual presidente) in quelle accozzaglie di gioventù scapestrata che pretendeva imporsi a tutto e a tutti” e  “con intimidazioni sopraffecero i pochi giovani rimasti fedeli al dovere” fino a compiere “atti deprecabili, attentati verso la Legge, le discipline interne, le convenienze pubbliche tutte”. Però, tanto tuonò che... non piovve: “Non ottennero accordo fra di loro, per pochi che fossero; sicché si sciolsero senza avere niente assodato, ripigliando il Pasqui la via di Bologna” dove arriverà alle 20.10 (era partito in treno da Forlì alle 17.30, giusto per capire la velocità di allora). In particolare viene seguito tale “noto giovane Tito Pasqui” giacché “la sua gita avrà un qualche scopo sinistro” per esempio “intrigare presso gli studenti onde impedire che si riapra l'Università”. In effetti era stato lui “uno dei principali agitatori per far chiudere l'Università stessa, già Preside nelle adunanze che si tennero dagli studenti ed affigliato ai Ceneri, Filopanti, Caldesi ed altri”. 



Corteo del 5 novembre 1916

Mentre le “offerte alla sezione soccorsi del Comitato di Assistenza Pubblica” sfiorano le 180 mila Lire, per il 5 novembre 1916 viene promosso un corteo per commemorare chi, in seguito alla guerra, è morto in ospedale.

Così Filippo Guarini, nel suo “Diario forlivese” riferisce: “alle 14.30 si è formato in piazza del Duomo il corteo” preceduto dal gonfalone del Municipio. Oltre alle autorità, erano presenti “circa 6000 persone” che, con “s'avviano al Cimitero, ove parlano il Sindaco avv. Bellini, e a nome dei garibaldini il Comm. Ing. Tito Pasqui”. Inoltre: “Le Signorine infermiere dell'Ospedale di Riserva, mediante fondi di generosi oblatori, hanno per ciascuna fossa di soldati eretto un piccolo recinto di pietra, collocandosi una croce col nome del defunto inciso e adorno di fiori”. Qualche giorno dopo, il 10, viene ricordato un fatto drammatico: “alla sera, un tal Lieto Bissi, di 43, mentre, sceso dal Tram, s'avviava per passare il fiume colla barca, fu gravemente ferito con un colpo di fucile ad una gamba e all'inguine. È repubblicano, e pare avesse avuto delle minacce, onde aveva comprato a Forlì una casa nella quale a giorni si sarebbe stabilito. Portato all'Ospedale, i medici lo giudicano in pericolo, specialmente pel copioso sangue perduto”.

Anche una birra...


Una birra dedicata a un personaggio storico di Forlì: la “Tito”. Proseguendo il percorso di ricerca della Premiata Fabbrica di Birra Gaetano Pasqui – Forlì, realtà che vuole ricordare l’esperienza del pioniere della coltivazione del luppolo in Italia nato a Forlì dal 1807 e portato avanti da esponenti della stessa famiglia, nell'ottobre del 2018 è stata messa in commercio una birra bruna ad alta fermentazione dal carattere “risorgimentale”. Oggi è fuori produzione. Tra gli ingredienti, due diversi savòr della tradizione romagnola prodotti da aziende agricole del forlivese, uno di essi è aromatizzato alla zucca. La birra è dedicata a Tito Pasqui (1846-1925), figlio del birraio Gaetano. Garibaldino in gioventù (l’etichetta è rossa), divenne poi alto funzionario del Ministero dell'Agricoltura e come tale, tra le altre cose, ambasciatore del vino italiano all'estero, ottenendo svariati riconoscimenti internazionali tra cui la Legion d'Onore (1900). Legato alla Romagna e alle sue tradizioni (il savòr), rappresentò il Governo italiano alle Esposizioni Universali della Belle Époque. Impegnato anche politicamente per la sua Forlì, lasciò alla città una cospicua raccolta di documenti conservati nei Fondi Antichi della Biblioteca Saffi. L’edizione limitata di seicento bottiglie da 75cl sono state prodotte a Marradi da Frankie’s Brewery per Birra Pasqui Srls. 



Eurovisioni



Cent’anni fa, l’irrompere della guerra mise fine a un’epoca, definita “bella”, in cui, per quattro decenni, si era registrato fervore tecnologico con un ottimismo per il progresso e l’avvenire che oggi non è facile riscontrare. La mostra “Eurovisioni. Tito Pasqui: un forlivese alle Grandi Esposizioni (1873-1906)” offre uno spazio per vivere un tempo andato. Inaugurata venerdì (10 ottobre 2014) dal sindaco Drei, resterà aperta fino al 6 gennaio (2015) ai Musei San Domenico. L’allestimento è accattivante e pone interessanti spunti di lavoro anche per le scuole. Lo sguardo in cui si immedesima il pubblico, infatti, è quello di Tito Pasqui, esponente forlivese di quella borghesia affascinata da invenzioni e cose nuove. Si ripercorre la sua esperienza di “periferico” impegnato nello studio e nella politica (sarà anche eletto deputato e a poco a poco salirà i gradini del Ministero dell’Agricoltura), desideroso di conoscere idee che avrebbero migliorato le condizioni sociali ed economiche della Romagna, dell’Italia e dell’Europa. In linea con le attività di suo padre Gaetano, titolare di un’agenzia per macchine e strumenti agrari, pioniere di coltivazioni tra cui il luppolo (fu anche birraio), inventore; Tito crebbe in questo clima poliedrico e curioso. Aperto alle invenzioni e alle innovazioni, attratto dalle prodigiose trovate, dall’elettricità alle belle arti, fu tuttavia un notabile conservatore legato alla tradizione. Studioso imperterrito, vinse numerosi concorsi che lo distinsero in incarichi prestigiosi fino a rappresentare il Governo italiano alle Esposizioni Universali del tempo: aggancio per cui la mostra è collegata con l’Expo di Milano del 2015. Il materiale raccolto nei suoi viaggi e per le sue ricerche (fu tra l'altro, insegnante, conferenziere, pubblicista) venne donato alla Biblioteca civica. Nelle buste del Fondo Pasqui, accanto a taccuini in cui il forlivese annotava minuziosamente i suoi ricordi di viaggio, sono raccolte le planimetrie delle Esposizioni, colorati cartoncini pubblicitari, inviti a pranzi di gala, menu, biglietti da visita, di viaggio in treno o in mongolfiera, cartoncini d’ingresso, lettere. Interesse e spazio è dato, oltre all'agronomia, anche a progetti per trasporti e infrastrutture. La mostra propone al pubblico una parte significativa di questi documenti, anche con l’aiuto di grandi riproduzioni fotografiche e video. L'iniziativa è ideata e curata da Roberto Balzani, e realizzata a cura di Cristina Ambrosini, Flora Fiorini, Antonella Imolesi Pozzi e Sergio Spada e con la collaborazione di Samantha Fantozzi che ha scritto la tesi utilizzata per molti dei testi, e del personale tutto del Servizio Pinacoteca e Musei. Per il resto si tratta di una “mostra corale”, al cui allestimento, cioè, hanno contribuito numerose associazioni culturali locali legate ai treni, alle tradizioni agricole, al collezionismo. Si possono notare anche i pesi e le misure della Camera di Commercio (esigenza non da poco, e molto sentita allora, era quella di uniformare il sistema metrico) ed è anche l’occasione per ricordare che a Forlì è presente il più antico Museo etnografico della Romagna: da esso vengono alcune delle “macchine” esposte. E’ dedicato spazio, infine, allo sport del tempo, i primi “giri” ciclistici, il “gioco del pallone”: poteva trattarsi di un modo meno cruento per dar sfogo alle rivalità tra i paesi europei. Poi però scoppiò la guerra.

Testo di articolo pubblicato su "La Voce di Romagna" l'11 ottobre 2014.

Nell'immagine: la presentazione della mostra.

Il Diario di Mentana

 

Il 3 novembre 1867, quasi 5.000 garibaldini, capitanati da Giuseppe Garibaldi si scontrarono a Mentana contro l’esercito franco-pontificio che, numericamente era all’incirca il doppio. Inizialmente le sorti della battaglia parevano pendere dalla parte dei garibaldini, alla fine però il generale dovette arrendersi, lasciando sul campo di battaglia 370 dei suoi uomini. Tra questi Achille Cantoni che perse la vita insieme con altri tre forlivesi: Oreste Basini, Pietro Gualaguini Cossa e Oreste Severi. Definito da Garibaldi “figlio prediletto delle Romagne” era nato a  Forlì il 13 agosto 1835. Sarebbe stato lo stesso forlivese a salvare la vita a Garibaldi nel 1849, pertanto l’eroe dei due mondi gli dedicò il romanzo “Cantoni il volontario”. Egli era dunque una celebrità per la borghesia risorgimentale e il suo nome fu celebrato per molti anni dopo la sua morte. Il testo di questo articolo si può leggere anche qui.

Tra i suoi amici o seguaci c’era un altro forlivese di undici anni più giovane, il manoscritto è conservato presso I Fondi antichi della Biblioteca comunale “Saffi”. Gli altri nomi che compaiono sono noti a chi ha studiato l’Ottocento locale: Eugenio Valzania, Oreste Regnoli, Quirico Filopanti, Alessandro Fortis su tutti, e pure altre figure che I più curiosi vorranno approfondire. 

Le annotazioni rimangono abbozzate, scritte in diretta pertanto abbondano abbreviazioni, puntini, la scrittura è veloce e non sono concessi fronzoli nè patetismi. Però, tra queste righe, si può condividere la spedizione dei forlivesi a Mentana, tra l’iniziale entusiasmo e il ritorno mesto. 

Il 16 ottobre 1867 la partenza da Forlì era fissata alle 5 del mattino. Il “fiaccherajo” (vetturino) Mandolesi, “detto Tri-Valun” partiva da Forlimpopoli mentre il sacco delle armi era stato riempito di paglia “presso un contadino a destra fuori della porta di Forlimpopoli”. Da qui, il viaggio prosegue per Ancona “insieme con Barbiani e Umiltà” presumibilmente in treno, ove si arriva alle 2.33 del pomeriggio. Qui si pernotta e “Nino Ravajoli fu cortesissimo”, in questa circostanza “ci unimmo a Gaudenzi e Panciatichi”. Il giorno successivo, il 17, la compagnia era già a Terni da cui sarebbe partita l’indomani. Le tappe successive segnano Calvi dell’Umbria (“pioggia dirotta” il 19 ottobre), Cantalupo in Sabina e Montebuono. In località Rocchette si registrano “gentilezze del Sindaco”. Il 21 ottobre la “pioggia continua” ed è l’occasione di “sosta e compra del tacchino a San Valentino presso Poggio Mirteto”. Poco distante, a Bocchignano, I forlivesi passano la notte. 

La tappa del giorno successivo va “da Bocchignano verso il confine” e viene notato il “ponte fatto costruito da Sisto V sul Farfa”. Avviene qui l’incontro “col bersagliere Zanuccoli” e si registra una “fermata a Coltodino”. Il 23 ottobre è il giorno del “passaggio del confine”, una “lunga marcia fino a sera con l’acqua” e segue una “sosta presso la stazione provvisoria di Corese”. 

Il 24 ottobre sono diretti verso Monte Rotondo ove in un “accampamento presso una cascina” incontrarono alcuni bersaglieri tra cui “Piselli”. Il giorno seguente sono “sotto Monte Rotondo”. Qui si verifica un “distacco dalla Compagnia per quelli armati di carabina”. Si sentono spari: “Son papalini o pastori?” domanda Caldesi a Valzania “che aveva buon canocchiale”. Si capisce ben presto che si tratta di “papalini” e Valzania “dirige I nostri colpi verso le finestre donde tiravano”. È pure l’occasione di una “lezione del sergente Filopanti sui tiri” e alla sera si tiene una rimpatriata di forlivesi, Fortis compreso: qui il compilatore commenta con “ho fame”. 

Di notte, alle 23, divampò un “incendio della porta con sacchetti di zolfo per le viti, fascine e petrolio”. Così, alle 2 del mattino la compagnia entra nel paese “attraverso le fiamme”, segue un “assalto” e il “tragico episodio del prete fuciliere”. Si annota, senz’altro aggiungere: “Marani. Ufficiale dei Mille. Compagnia del Friulano Ciotti”. 

Il 27 ottobre il gruppo si unisce alla Colonna Cantoni: “Partenza a mezzodì da Monte Rotondo. Sosta ad una cascina ove arrivò Garibaldi. Verso sera partenza. Pioggia continua la notte nel bivacco presso il Quartier Generale a Forno Nuovo”. Da qui a Mentana ci sono meno di cinque chilometri. 

Il risveglio del 28 ottobre è amaro: “all’alba furto della carabina”, così la compagnia riparte e si ferma per una sosta alla Marcigliana. Nei giorni successivi I forlivesi sono vicinissimi alla Capitale, il 30 arrivano “in una collina in vista di Roma a Castel Giubileo”, cioè a circa 15 km da piazza San Pietro in Vaticano. Forse si sono spinti un po’ troppo in là se alle 2 di notte indietreggiano con “marcia retrograda” tornando alla stazione di Monte Rotondo. E l’entusiasmo è destinato a terminare.

31 ottobre: “Fermi sempre alla Stazione. Confusione. Disordine: mistero! Distacco dei Perugini, due compagnie de la nostra colonna…”. 

Il 1° novembre arriva Oreste Regnoli, il giorno dopo “Corte e Lineo” mentre si organizza una “gita a Mentana per diporto”. Ci si concede quest’ultimo svago perché si sta capendo che la spedizione è una disfatta. Il 3 novembre si parte alle 13 “da la stazione di Monte Rotondo in marcia verso Tivoli” però, “alla sinistra altura di Monte Rotondo” comincia “per la nostra colonna il combattimento”. Se ne vanno “alcuni nostri compagni dissidenti e sfiduciati”, poi vi è un “loro ritorno” ma la “lotta è accanita”. 

Il compilatore del diario si lamenta del “cattivo fucile della Guardia Nazionale”. La prima Compagnia, comandata da “Aless. Monti (sergente Gaudenzi) sale a sinistra sovra un altro colle” mentre il resto della Colonna “fra cui la 2 Compagnia comandata da Sesto Pasini (io sottotenente) con Cantoni e Fortis volge a destra verso Mentana”. 

Achille Cantoni pronuncia le parole: “Sandrin, vado a vedere che fa la prima Compagnia” dove “Sandrin” è Alessandro Fortis. Ma “nessuno più lo vide”. Verso sera ritirata, con “salita ai Cappuccini con Fratti, Barbiani Livio, Ugolini, Sostegni, Sansovini, Panciatichi e Foschini”. La battaglia è persa: “ritirata generale a Monte Rotondo. Consiglio di Guerra. Partenza verso mezzanotte per Passo Corese”. A Corese, all’alba del 4 novembre, è tempo del “nostro disarmo”, ciò avviene “con dolore affettuoso” da parte del colonnello Casarà dei Granatieri, “presso il ponte”. Qualche ora dopo, alle 8.30, “con Fortis, Monti e il mio maggiore Nodari di Verona” si parte e si va a fare una “gita alla cascata delle Marmore”. Una sosta a Terni è ciò che da tempo aspettava: “indicibile fame saziata”. Il 5 novembre, sempre a Terni, non si sa ancora nulla “di Cantoni, Gaudenzi ed altri amici”, “vane ricerche”. C’è poco da fare, il 6 novembre “con Serughi e Palmeggiani si riparte per Forlì, ove si giunse all’una pomeridiana”. 

Nell'Immagine: Documento presente nella Busta 37 del Fondo Pasqui presso la Biblioteca Comunale "Saffi" di Forlì



I cimeli donati al Museo del Risorgimento di Forlì

Dopo il 16 maggio 2023, non è chiaro se esistano ancora nè in che condizioni siano. Per anni conservati nel Museo del Risorgimento di Palazzo Gaddi, furono - con altro materiale - collocati nel deposito comunale di via Asiago, gravemente danneggiato dall'alluvione del 16 maggio 2023. Da allora, non è chiara la sorte dei cimeli che Tito Pasqui donò al Museo del Risorgimento di Forlì.
Le indicazioni che seguono sono tratte dall'Inventario Elleni. Riferendosi a questi cimeli, la compianta Flavia Bugani il 20 maggio 2022 (un anno prima della disastrosa alluvione) scrisse: "Vennero immagazzinati nell’anno dello sciame sismico. Ignoro dove siano conservati". 


Si legge:

Sala III
63: Camicia rossa del Gr. Uff. Tito Pasqui soldato di Mentana
64: Berretto del Gr.Uff. Tito Pasqui soldato di Mentana
151: Decorazione (croce di Cavaliere della Corona d'Italia, con nastro rosso e bianco) a due facce, e nastrino bianco e rosso.
(Croce smussata in smalto bianco, coi bracci uniti dal nodo sabaudo. Al centro, la corona ferrea su smalto blu).
152: Decorazione (croce bianca, palme verdi, sormontata da Corona d'oro) a due facce e nastrino verde - in astuccio di pelle rossa (mm. 220x115) - (Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro?).
153: Decorazione (stella a otto punte con croce bianca e, nel centro, una corona).
154: Decorazione romena (croce azzurra, palme argento, con la scritta: In fide salus).
155: Decorazione romena (stella a otto punte, con croce azzurra, sormontata da una corona, con la scritta "In fide salus" a due facce e nastrino rosso con bordi azzurri). Conservate in un astuccio (apposito per le due ultime) di pelle rossa con stemma in oro mm.275x115.
156: Spalline 2 in filo rosso.
157: Posate (cucchiaio e forchetta) usate in guerra da Tito Pasqui.

Pagine scansionate dall'Inventario Elleni








In evidenza

Tito Pasqui e il Museo Internazionale delle Ceramiche

La fondazione del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza non fu il risultato di un’iniziativa isolata, ma l’esito di una convergenza...